Batiscafo Trieste
Batiscafo Trieste

Il batiscafo Trieste

Un anniversario da non dimenticare

Per gentile concessione del Centro Studi Tradizioni Nautiche, Notiziario, ANNO XII ‐ N° 132.

Un sottile ed invisibile legame di concretezza e di amore lega due città così distanti e così diverse tra loro: la asburgica Trieste e la borbonica Castellammare di Stabia. Il legame fisico è costituito dalla presenza del mare in entrambe le città. Il legame spirituale è dato, invece, dal fatto che a Castellammare sono state varate ben due unità navali, aventi come nome quello di Trieste. Ben prima del varo della portaerei omonima, avvenuto quattro anni fa, un altro scafo con quel nome ebbe il battesimo dell’acqua nel mare prospiciente il cantiere stabiese: sto parlando del batiscafo Trieste che il 23 gennaio 1960 toccò la profondità record di 10916 mt. nel Challenger deep, la Fossa delle Marianne, in pieno pacifico, tra Giappone e Nuova Guinea, vale a dire il punto più profondo di tutti gli oceani della terra. Tutto avvenne grazie alla genialità del professore Auguste Piccard, che nel 1917 scoprì l’uranio 235. Amico di Albert Einstein, fu una delle menti più eccelse della fisica europea di quel tempo. Alto, dinoccolato ed apparentemente inelegante, suscitava grande fascino anche per il portamento da scienziato folle accentuato da occhialetti e capigliatura trascurata. Nel 1931 inventò una capsula pressurizzata in metallo che, attaccata ad un pallone aerostatico, gli consentì di raggiungere, primo uomo della storia, il record di 16.201 mt. raggiungendo la stratosfera. Dopo quel record in altezza, decise di sfidare le leggi della fisica, anche nella profondità del mare e realizzò nel 1948 il batiscafo Frers 2 che raggiunse, con pilota automatico, il record di 1380 mt al largo di Dakar. Era tempo per nuove sfide. Coinvolse nell’impresa anche il figlio Jacques ed insieme misero a punto un nuovo batiscafo, trovando ospitalità nella città di Trieste, grazie alla iniziativa di un personaggio come Diego De Henriquez , che aveva iniziato a raccogliere, fin dal 1941, cimeli bellici durante l’occupazione italiana in Jugoslavia. Nel 1951 nacque l’idea di realizzare a Trieste il nuovo batiscafo, ottenendo l’anno successivo l’appoggio tecnico della Marina Militare per concretizzare l’impresa. Il batiscafo fu realizzato unendo un serbatoio ad una sfera. Il serbatoio venne costruito nel cantiere navale di Monfalcone: era di forma ovale, di dimensioni 16×4 ed era capace di ospitare 87.000 litri di benzina speciale con un peso specifico inferiore all’acqua, soluzione che fu alla base del funzionamento del batiscafo. Dopo la costruzione del serbatoio, costruzione diretta dall’ingegner Benvenuto Loser, che dovette affrontare non pochi problemi, il manufatto fu caricato su un camion e spedito a Castellammare di Stabia nel gennaio 1953. La batisfera fu, invece, costruita nelle acciaierie di Terni. Furono costruite due metà calotte, poi unite.
Il diametro della sfera risultò essere di 3,25 mt. e, non avendo una forma esattamente sferica, ma leggermente ovale, aveva al centro uno spessore di 30 cm, mentre ai bordi lo spessore si riduceva a 17 cm. La fase delicatissima della costruzione fu seguita dai tecnici della acciaieria di Terni coordinati dagli ingegneri Aldo Bartocci e Vincenzo Flagiello. Bisognava, adesso, riunire il serbatoio alla batisfera e la scelta del cantiere fu non occasionale, ma fortemente mirata. Quale cantiere navale in Italia poteva competere con la competenza, la professionalità e la storia del cantiere stabiese che, in quel tempo, si chiamava Navalmeccanica? La città adottò, per così dire, l’intera famiglia Piccard al punto tale da conferire, dopo l’impresa record, la cittadinanza onoraria al leggendario scienziato Auguste. Le maestranze stabiesi furono mirabili per capacità e professionalità, tra loro vanno ricordati Vincenzo Cerchia, disegnatore e progettista navale; Giuseppe Buono, operaio altamente specializzato sì da poter essere paragonato ad un ingegnere honoris causa; l’ingegner Armando Traetta, posillipino amante di musica sinfonica, tecnico del cantiere ed insegnante in una scuola adiacente ad esso che educava i giovani alla formazione professionale. Per ultimo va ricordato l’ingegnere Mario de Luca, stabiese doc. che si occupò del sistema elettrico e delle comunicazioni tra navi appoggio e batiscafo. Furono fatti, all’indomani del varo ottenuto calando il Trieste (foto) con una gru del cantiere, numerose prove a profondità sempre crescenti. Prima nel porto di Castellammare, poi al largo della città; successivamente a Capri ed infine all’isola di Ponza, dove furono raggiunti i 3150 mt di profondità. Nel 1955, grazie all’appoggio degli Stati Uniti, appoggio evidentemente non disinteressato a causa delle problematiche della guerra fredda che in quegli anni cominciò a manifestarsi, appoggio avvenuto tramite l’interlocuzione di Robert Sinclair Dietz, ufficiale della U.S. Army Air Forces, Auguste Piccard si convinse di poter raggiungere la profondità massima degli abissi marini. L’onore di battere il record il papà Auguste lo conferì al figlio Jacques, accompagnato dal secondo Don Walsh. A chiudere il portellone del batiscafo fu il fidato Giuseppe Buono, noto a Castellammare con l’appellativo ‘Maste ‘e Cantiere’. Il Trieste andava incontro al record e poi alla gloria. Il legame tra la città di Trieste e quella di Castellammare si saldò in una impresa memorabile. Il nome Trieste, scritto sul batiscafo assemblato e definito a Castellammare di Stabia, raggiunse gli abissi dell’Oceano. Approfitto della circostanza per ricordare agli appassionati del tema il libro appena uscito in libreria di Antonio Ferrara dal titolo “Nel profondo blu Il batiscafo Trieste”, edito da Francesco D’Amato. Il lettore troverà molte foto inedite, grafici, disegni ed appunti personali del professor Auguste Piccard.

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