Primo salto. Sbocco della Galleria Grande a valle.
Primo salto. Sbocco della Galleria Grande a valle.

Impianti idroelettrici dismessi sulla vecchia asta del torrente Cellina (PN)

Impianti idroelettrici dismessi sulla vecchia asta del torrente Cellina (PN). Video di Lost Structures, prima parte.

Un’esplorazione particolare, tutta a cielo aperto, con lo scopo di scoprire le opere idrauliche e le centrali dismesse della vecchia asta idroelettrica del torrente Cellina è protagonista di questo video in due parti. Il viaggio a ritroso nel tempo inizia nell’ultimo decennio dell’800, quando si iniziò a pensare allo sfruttamento delle acque del Cellina per scopi idroelettrici, al fine di poter fornire energia a minor costo a Venezia rispetto a quella prodotta dalla stazione elettrogeneratrice a vapore del Regio Arsenale di Venezia, attivata nel 1902 in aggiunta alle piccole unità a vapore-dinamo già in funzione dal 1889. Negli anni successivi gli impianti del Cellina furono ampliati e collegati anche alle città di Treviso, Pordenone ed Udine attraverso lunghi elettrodotti sorretti da pali in larice. Al fine di potenziare l’impianto esistente del 1905, negli anni ’50 venne realizzata la diga di Ponte Antoi, grazie alla quale fu possibile sfruttare un salto di quota maggiore attraverso la nuova centrale di Barcis, un impianto ricavato in caverna (tuttora in esercizio) che dal 1954 sfrutta l’acqua del lago omonimo convogliata nelle due turbine Kaplan da una condotta da 3,9 m di diametro (in galleria) lunga circa 2 km. L’esplorazione si svolge sulla vecchia strada Montereale-Barcis (dismessa nel 1992 e aperta parzialmente in estate), partendo dalla vecchia diga, realizzata tra il 1900 e il 1905 certamente meritevole di una visita. Questo sbarramento, alto solo 18 metri, assomiglia più ad una traversa fluviale, che serve a captare solo una parte dell’acqua senza creare un grande invaso a monte. L’idea è di seguire poi il canale adduttore (lungo circa 7 km) che, scorrendo sotto la strada, portava l’acqua alle tre centrali realizzate a valle tra il 1903 e il 1917. Esso è stato realizzato con enormi difficoltà e mezzi primitivi sbancando le pareti del canyon, e sfruttandolo per ricavare anche una strada carrozzabile dopo averlo coperto con un pavimento in calcestruzzo. Questa strada ha avuto una grande importanza in quanto ha permesso di interrompere l’isolamento millenario della valle, realizzando un comodo collegamento con Montereale, località fino ad allora raggiungibile solo attraverso un faticoso sentiero. Il percorso è altamente spettacolare, sempre con ottimo panorama sul torrente, il quale nelle giornate di buona portata scorre impetuoso ma mostrando sempre con il suo caratteristico color turchese (mentre in caso di piena diventa pericoloso ed è meglio starne alla larga). Lungo il canale ci sono anche due scaricatori, delle imponenti opere realizzate in pietra e dotate di chiuse che servivano a regolare la portata d’acqua verso valle. La strada si sviluppa su tracciato estremamente difficoltoso da costruire all’epoca, dove si contano tre gallerie e cinquantasette tra ponti e arcate di sostegno. Essa è caratterizzata da brevi tratti rettilinei alternati a leggere curve, che assecondano la valle per circa 5 km, fino a raggiungere uno dei tratti più impervi, dove sono stati necessari sforzi immani per strappare alla parete di roccia i pochi metri di spazio per la sede stradale, dovendo ricorrere ad un pavimento a sbalzo sorretto da travi in calcestruzzo. Negli anni ’20 questo tratto è stato abbandonato e spostato in galleria, ampliando quella già esistente scavata in origine solo per il canale. In questo punto la valle si allarga, e il torrente confluisce nel lago di Ravedis. In realtà qualora il bacino artificiale venga fatto riempire completamente, esso comprende anche il tratto più a monte del torrente, e in quel caso la quota dell’acqua può arrivare quasi fino al livello della strada. Presso il rio Stella si nota pure un’opera idraulica recente: si tratta di una traversa provvisoria dotata di chiuse e utilizzata per deviare il torrente ai tempi della costruzione della diga di Ravedis. Questa zona è stata oggetto di modifiche in tempi recenti, in quanto è stato necessario alzare il piano stradale per evitarne l’allagamento nel caso il lago venga riempito fino alla quota massima. È quindi difficile immaginare la situazione allo stato d’origine, specie l’ultimo tratto del canale, il quale in questo punto scorreva accanto alla strada ad una quota superiore. I resti del portale della vecchia galleria sono stati parzialmente interrati, ma essa è raggiungibile attraverso una piccola rampa discendente, realizzata accanto alla nuova galleria di servizio di 800 m. In questo punto il canale si separa definitivamente dalla vecchia strada per infilarsi nella galleria Monciaduda, il cui accesso come detto è stato modificato. Questo tunnel di 1100 m scavato sotto il monte Gloriassis, è attualmente chiuso da un cancello, quindi non risulta praticabile e costringe a terminare qui la prima parte dell’esplorazione.

Impianti idroelettrici dismessi sulla vecchia asta del torrente Cellina (PN). Video di Lost Structures, seconda parte.

La seconda parte dell’esplorazione si propone di scoprire l’ultima parte delle opere idrauliche di canalizzazione dell’acqua e le tre centrali dismesse dell’impianto Cellina. Grazie alla preziosa disponibilità del Comune di Montereale Valcellina, Eupolis ed Edison, è stato possibile visitare in maniera approfondita le centrali della vecchia asta idroelettrica del Cellina, disattivata nel 1988. Il percorso riprende dall’uscita della galleria “Monciaduda”, dove si era conclusa la prima parte del video, per proseguire sull’argine dell’ultimo tratto di canale adduttore, trasformato oggi in un bel itinerario naturalistico. Negli ultimi 2 km del canale, si concentrano le opere più ardite di questo complesso impianto idroelettrico, realizzate attorno al 1903 grazie alle fatiche di oltre duemila operai. Sono manufatti impressionanti, pensando che i lavori vennero eseguiti tutti a mano, con l’ausilio dei soli mezzi a trazione animale. Poco più avanti l’acqua confluiva in un bacino di decantazione, dove venivano trattenute le impurità. E proprio qui si può ammirare uno dei manufatti più spettacolari, l’enorme sfioratore a gradoni in pietra sul rio Bennata, previsto per scaricare l’acqua in eccesso in caso di fermata della centrale. Il canale adduttore sta per terminare il suo percorso, dove l’acqua confluiva nella vasca di carico della centrale, pronta per il primo salto di 58 m con cui produrre preziosa energia. Siamo giunti finalmente alla centrale di Malnisio, la più grande delle tre, oggi trasformata in uno splendido museo. La sua costruzione risale al primo quinquennio del 1900, su progetto di Aristide Zenari, ingegnere del Regio Genio Civile (per la parte civile ed idraulica) e dall’ingegner Antonio Pitter, (per la parte elettrotecnica) da cui prende il nome. Inaugurata nel 1905, rimase in funzione per ottantatrè anni, uscendo indenne dai conflitti mondiali e dal sisma del ’76. La sala macchine ospita quattro turbine tipo Francis (realizzate da Riva-Monnert) accoppiate ai rispettivi alternatori Tecnomasio Italiano Brown-Boveri da 2640 HP. Il grande edificio, in un’ala ospitava anche gli uffici, le abitazioni per il personale, i magazzini e un’officina per la manutenzione. L’altra ala invece era occupata da locali tecnici per i quadri dell’alta tensione e i relativi interruttori. Da questa centrale partiva un lungo elettrodotto a 30 kV su pali in larice che alimentava Venezia. All’epoca dell’inaugurazione, la centrale poteva vantare diversi primati: è stato il primo impianto trifase d’Italia, aveva la tensione di uscita più alta d’Europa, a 30 kV, ed era collegata alla linea elettrica più lunga del mondo, ben 87 km (fino a Venezia San Giobbe). Fu anche la seconda centrale al mondo per potenza installata, e quella dotata degli alternatori più potenti mai costruiti. Lasciata la bellissima centrale, il cammino riprende per esplorare anche l’ultima parte del vecchio impianto del Cellina. Attraverso un canale derivatore di 4 km, progettato per sfruttare anche il secondo salto, veniva alimentata un’ulteriore centrale. Sul fianco di una collina sperduta, si trovano le costruzioni idrauliche relative al secondo salto. Abbiamo modo di constatare lo stato di degrado delle opere, dopo oltre quaranta anni di abbandono. Da qui, attraverso due condotte, veniva sfruttato il salto di 56 m per la seconda centrale, inaugurata nel 1908 per fornire energia a Udine, con un elettrodotto di 44 km. La seconda centrale è stata parzialmente smantellata, e versa in condizioni di degrado dovuto al lungo abbandono, ma la sala macchine con i due gruppi degli anni ’30, è ancora quasi intatta. In origine qui era montata una macchina ad asse orizzontale con turbina Francis, poi affiancata da una seconda macchina identica, e attorno al 1911 entrò in funzione anche una terza unità. Nel 1934 le macchine vennero sostituite da due alternatori ad asse verticale, ancora in posizione. Percorriamo altri 7 km per vedere anche l’ultima centrale, pure questa disattivata nel 1988 come le altre. Si tratta della centrale del Partidor, costruita dalla SADE nel 1917 e entrata in servizio due anni dopo. Era stata progettata per sfruttare gli ultimi 26 metri di salto utile, prima della restituzione al torrente Cellina. All’interno c’erano due gruppi Francis da 1,5 MW e uno da 376 kW che scaricava l’acqua nella roggia di Aviano, con un salto minore. L’edificio elettrico è stato svuotato dai macchinari nel 2001, ed è adibito a magazzino. La torre piezometrica fa ancora bella mostra di sé, serviva ad ammortizzare il colpo d’ariete dell’acqua nelle condotte alle quali era collegata, in caso di blocco improvviso delle turbine. Una rete di canali irrigui riutilizza l’acqua scaricata dalle centrali attualmente attive, mentre una minima parte viene restituita al Cellina, concludendo così nello stesso torrente questo lungo ma utilissimo viaggio. 

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