La Fabbrica d’Armi di Terni dalle origini alla Prima Guerra Mondiale

La Regia Fabbrica d'Armi di Terni
La Regia Fabbrica d’Armi di Terni

Quest’anno ricorre il centesimo dall’immane tragedia della prima guerra mondiale e ritengo doveroso, nel parlare della règia Fabbrica d’Armi di Terni, accennare al ruolo avuto in quel colossale conflitto. Anche nel secondo conflitto ebbe una parte importantissima nella produzione bellica, ma non raggiunse mai i risultati precedenti. Già nel 1862, un anno dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si era parlato di istituire a Terni un’armeria nazionale, malgrado l’interessamento e le pressioni del Comune di Terni, la proposta non ebbe seguito, probabilmente per la troppa vicinanza con lo Stato Pontificio. Poi, il 3 Luglio del 1866 ci fu la battaglia di Sadowa; negli atti del Governo si legge: “Gli splendidi successi riportati dalla Prussia nella recente guerra germanica, hanno reso evidente l’efficacia dei perfezionamenti da essa introdotti nelle armi da fuoco. Le principali potenze dell’Europa già posero mano, senza indugio, alla riforma dell’armamento dei propri eserciti, né l’Italia potrebbe restare indifferente a questa trasformazione senza pericolo di gravissimi danni. Importa quindi provvedere, quanto più presto sia possibile, 600.000 nuovi fucili per la Fanteria, oltre alle armi corte per l’Artiglieria e la Cavalleria. Di presente, lo stato dell’industria privata nel paese non offre mezzi bastanti per rispondere colla necessaria prontezza ad una esigenza così straordinaria e le fabbriche d’armi che possiede il Governo, possono fornire, in un anno, appena 3000 fucili. D’altra parte non converrebbe far ricorso all’industria straniera per la difficoltà derivanti dalla concorrenza di altre potenze, sia per non spedire all’estero vistosi capitali quando vi fosse mezzo di avere produzioni di eguale bontà ed a miglior prezzo in paese. Aggiungasi che in dati eventi si correrebbe il rischio di non ricevere altrimenti le armi dall’estero”. Per queste considerazioni, il Consiglio dei Ministri avrebbe deliberato di dar tosto mano all’impianto di una nuova ed estesa Fabbrica d’Armi nell’Italia centrale, e di procurare lo sviluppo delle fabbriche private già esistenti; aggiungendo questi ai mezzi già disponibili, il paese sia in grado di provvedere con forze proprie, entro un termine relativamente breve, il nuovo armamento. Per l’impianto della ideata manifattura, oltre le offerte già fatte dai municipi, occorrerebbe un milione di lire. All’oggetto però di non aggravare eccessivamente il bilancio dello Stato, il CDM avrebbe deliberato che la spesa anzidetta trovasse compenso da una eguale economia da conseguirsi sul capitolo 51 “Armamento straordinario e spese pel servizio di artiglieria”. In vista pertanto delle circostanze preaccennate, il referente, sulla richiesta del suo collega Ministro della Guerra, ha l’onore di sottoporre alla R.A.V. il decreto con il quale, in seguito alle facoltà concesse al Governo del Re con la legge 28 Giugno decorso, n° 2987, sarebbe autorizzata la maggiore spesa di un milione sul capitolo 41 bis del bilancio della Guerra pel corrente esercizio ed ordina un’economia di eguale somma sul capitolo 51 dello stesso bilancio. Segue il decreto datato 29 Settembre 1866. Ma questo decreto non ebbe seguito concreto. La proposta fu rilanciata da un grande amico dell’Ammiraglio B. Brin, l’Ingegner Vincenzo Stefano Breda, deputato di Padova, realizzatore di gran parte della rete ferroviaria nazionale e creatore dei maggiori complessi industriali Italiani; egli, in un vibrante discorso tenuto alla Camera il 23 Maggio 1871, pose l’accento sull’importanza strategico-militare dell’Italia centrale; mentre la discussione verteva sull’ubicazione della nuova fabbrica, ritenendo quelle esistenti troppo vicine alle frontiere, Brescia e Torino, ed esposte ad attacchi dal mare, Torre Annunziata, egli disse: “…io vorrei, tra le altre cose, che nell’Italia centrale si stabilisse una grande Fabbrica d’Armi, poiché le nostre attuali fabbriche sono esposte troppo al pericolo. Bisognerebbe stabilire questa maggior fabbrica d’armi a Terni, per esempio, dove abbiamo abbondanza di acqua, senza che, per questo, occorra distruggere le attuali. E non trovate voi strano, o signori, che siamo privi persino di una fonderia di canne di acciaio e che dobbiamo comprarle all’estero? … “. Il progetto di Breda fu supportato dalle argomentazioni tecniche del Marchese Luigi Campofregoso, Capitano del Genio in servizio di Stato Maggiore che illustrò le sue motivazioni su due pubblicazioni: Il campo trincerato di Terni, del 1871, e Sulla straordinaria importanza militare ed industriale della val Ternana, del 1872; quest’ultima opera fu fatta ristampare dal Comune di Terni per un tributo d’onore all’intrinseco pregio dell’opera e per attestare al chiarissimo autore la riconoscenza del Municipio e dell’intera cittadinanza. Parallelamente all’attività parlamentare e governativa, procedeva alacremente anche l’Amministrazione Comunale di Terni che vide nel Conte Alceo Massarucci, dapprima deputato del Regno d’Italia e in seguito senatore, l’animatore convinto, assiduo ed instancabile di tutte le iniziative possibili prese da Comune per spingere il Governo a scegliere Terni come sito della nuova fabbrica d’armi. Nel 1872, finalmente, il Governo decise, con l’assenso del Parlamento, la costruzione della Règia Fabbrica d’Armi di Terni, che tuttavia, contrariamente al progetto iniziale dell’Ing. Breda, sarebbe stata di proprietà dello Stato. Il Comune di Terni, per favorire questa importantissima realizzazione espropriò, nella zona denominata “i Canali”, più di 60.000 m. q. di terreni ceduti successivamente e gratuitamente al Ministero della Guerra per la costruzione dell’opera. Il Comune di Terni oltre ad elargire il terreno di edificazione della nuova fabbrica, si impegnò anche a fornire la necessaria energia idraulica accollandosi i costi di costruzione di un canale motore che traversasse l’intera stessa fabbrica traendo l’acqua dal Canale Nerino. Con questi presupposti caddero finalmente tutte le perplessità e il Governo decise la costruzione della fabbrica emanando il Règio decreto N° 1860(serie2^). Il Ministro della Guerra, Gen. Cesare Francesco Ricotti Magnani, pose la prima pietra della Règia Fabbrica d’Armi di Terni; la pergamena sulla quale erano stati scritti cenni storici ed i nomi dei protagonisti dell’inaugurazione, venne posta dentro un cilindro di vetro unitamente ad un metro di avorio, una moneta d’argento ed alcune di rame; il cilindro, debitamente sigillato, fu a sua volta inserito in un apposito alloggiamento della prima pietra che fu posta a sei metri di profondità; era la Domenica del 2 Maggio 1875, dal successivo Lunedì iniziarono i lavori dell’imponente e maestosa fabbrica; il progetto architettonico fu elaborato dal Maggiore del Genio Carlo Torretta il quale, negli anni precedenti era stato mandato presso le fabbriche d’armi tedesche, francesi ed inglesi per osservare come queste nazioni avessero impostato la lavorazione delle armi, sia dal punto di vista strettamente tecnico,inerente macchine utensili ed impianti vari, sia dal punto di vista strutturale; il Maggiore Torretta trasse degli ottimi insegnamenti da queste sue visite ed elaborò un progetto costruttivo in stile neo-rinascimentale anglo-fiorentino, se così si può dire, che ha avuto, ed ha, il merito di essere sopravvissuto alle modificazioni insite nel processo produttivo automatizzato, in quanto la sua struttura si adatta perfettamente ad ogni genere di lavorazione. Coadiuvato dai Capitani Parnizzon Cav. Luigi, Rosati Ing. Giacomo,ed i Tenenti Boncompagni di Mombello Signor Prospero e Gazzi Signor Fermo che dirigevano 600 operai, tutti gli edifici e le opere accessorie in muratura furono completate entro il 1879 (non male se guardiamo ai nostri giorni dove, per esempio, a Crotone c’è un ospedale in costruzione dal 1947); l’installazione degli impianti di potenza, tecnologici e delle macchine utensili richiese altrettanto tempo e la Règia iniziò la produzione nel Gennaio del 1884.

La fabbrica è costituita da :

  1. Un fabbricato principale rivolto a Nord, alto 18,30 m, lungo 270 m, comprensivo di due terrazze site alle estremità lunghe 16 m; consta di un piano terreno,un primo piano,sotterranei e ampi e comodi sottotetti; due torrette si ergono sul tetto ed ospitano altrettanti serbatoi d’acqua della capacità di 16 mc. Alle estremità vi sono due casermette nelle si trovano gli alloggi per gli Ufficiali, i dormitori per la truppa, le camere per i graduati, gli uffici di compagnia, i magazzini, le cucine, la mensa e le camere di punizione. Al centro si trovano i magazzini per le armi, gli essiccatoi per le casse e le scuderie. Al primo piano ci sono gli uffici della direzione, amministrativi, e tecnici e all’estremità del lato ovest l’alloggio del Direttore.
  2. Cinque fabbricati ubicati tra il precitato fabbricato principale ed il canale motore con funzione di laboratori per le lavorazioni; gli spazi tra i laboratori sono adibiti a giardini con ciascuno una fontana ottagonale con 18 cannelle per uso potabile da parte degli operai (oggi non ci sono più). Di questi fabbricati tre sono doppi e mentre nei singoli le armature dei tetti poggiano sui muri di gronda, in quelli doppi il terzo appoggio è costituito da 14 colonne in ghisa situate all’interno lungo la linea d’impluvio di due falde contigue. La lunghezza è di 79,5 m e la larghezza è di 17,6 per quelli singoli e di 34,6 per quelli doppi; i passaggi tra i laboratori sono coperti con lamiera di zinco ondulata. Tra i suddetti laboratori, lungo la linea di testata sud, si trovano quattro piccole officine i cui lati misurano 18,50 x 15,20 adibite alla lavorazione dell’alzo, delle viti a legno e per l’abbrunitura delle parti d’arma.
  3. Un canale motore della portata di 8,5 mc /sec attraversato da quattro ponti metallici per i passaggi e le comunicazioni tra i fabbricati posti tra le due sponde.
  4. Altri due fabbricati fronteggianti la sponda sinistra del canale di lunghezza 93,4 me 152,02 m larghi entrambi 22,6 m.
  5. Un poligono lungo 200 m e largo 10 m posto tra i detti fabbricati ed il muro di cinta a sud.
  6. Un ultimo fabbricato che si protende oltre la cinta ovest adibito a magazzino del servizio collaudo, officina di lisciviazione delle aste di legno per le casse e per officina del gas alimentata da due gasometri della capacità di 250 mc cadauno addossati al muro di cinta ovest.

La costruzione della Règia costò 2.600.000 lire escluso il macchinario e siccome l’area coperta era di 26.000 mq, il costo è stato di 100 lire al mq.

La RFA all’inizio della sua attività, e fino al 1911, attingeva la forza motrice necessaria da otto turbine Francis modificate Girard, cosiddette minihydro, termine che indica impianti di potenza non eccessivamente elevata utilizzanti elementi semplificati con notevoli risparmi nei costi di produzione. Le turbine erano installate presso le testate delle officine prospicienti il canale motore; ancorché la potenza installata fosse di circa 1000 cavalli vapore, se ne utilizzava poco più della metà; la disposizione delle turbine era la seguente:

  1. la prima officina disponeva di una turbina da 50 HP che faceva muovere due alberi di trasmissione primari; essendo questa un’officina con un limitato numero di macchine, 25 HP furono distolti e convogliati alla seconda officina. In questa officina venivano effettuate le lavorazioni che richiedevano una precisione elevata come l’allestimento dei calibri e delle attrezzature di controllo; vi era anche una sezione studi ed esperienze;
  2. la seconda officina disponeva quindi di 75 HP di cui 50 erogati dalla propria turbina e 25 provenienti dalla prima; in questa officina funzionavano 280 macchine utensili ed aveva quattro alberi di trasmissione primari. In questa officina venivano allestite le parti minori dei fucili quali estrattori, elevatori, espulsori, grilletti,molle, viti, fascette, perni, ecc.
  3. la terza officina venne dotata di due turbine per una totale di 100 HP che muovevano quattro alberi primari. In questa officina venivano allestite le parti più importanti dei fucili vale a dire le canne, gli otturatori, le culatte e le scatole serbatoio;
  4. la quarta officina disponeva di una turbina da 50 HP che muoveva due alberi primari soltanto nel primo reparto poiché nei tre reparti rimanenti non c’erano macchine. Questa officina era stata divisa in quattro reparti:
  • nel primo venivano allestite le parti in legno cioè la cassa ed il copricanna;
  • nel secondo venivano montati i fucili;
  • nel terzo venivano allestiti gli imballaggi in legno;
  • nel quarto, il più grande, venivano riparate le armi (pistole, fucili, mitragliatrici ecc.);
  1. la quinta officina ebbe due turbine da 50 HP e 80 HP collegate insieme; una parte dell’energia veniva utilizzata dalla sesta officina per le molatrici. Questa officina, ubicata a sud del canale motore fu destinata alle lavorazioni a caldo (fucinatura, stampaggio ecc). Nella sesta officina, suddivisa in due reparti, venivano creati, nel primo, i tagli delle baionette mediante molatura, nel secondo venivano pulite e sgrassate le parti d’arma da avviare alla brunitura.
  2. la settima officina disponeva anch’essa di una turbina di 50 HP utilizzata per muovere le grosse ventole dei numerosi aspiratori; in essa venivano praticati i vari trattamenti termici.

Gli 8,5 m3 di acqua del canale motore erano convogliati sulle turbine attraverso apposite prese munite di saracinesche praticate sulle pareti del canale stesso; l’acqua, dopo un salto di 9 metri, azionava le giranti ad asse verticale il cui moto, attraverso un sistema di pulegge e cinghie di cuoio, veniva trasferito agli alberi di trasmissione principali che correvano per tutta la lunghezza delle officine. Questi alberi poggiavano su supporti muniti di cuscinetti di banco, a loro volta sorretti da robuste travi metalliche imbullonate a staffe fissate alle colonne costituenti l’armatura interna delle officine. Il moto veniva quindi trasmesso alle macchine utensili attraverso ruotismi condotti e conduttori, sempre mediante cinghie di cuoio,equipaggiati con scambi azionati mediante lunghe assi di legno. Agli alberi principali erano inoltre collegati opportuni ruotismi per trasmettere il moto ad alberi secondari, sia all’interno delle officine più grandi sia a quelli di reparti più piccoli privi di turbine proprie. Certamente entrare in quelle officine non doveva essere particolarmente piacevole; come si evince dalle foto d’epoca, gli operai erano costretti a districarsi in una selva di cinghie di cuoio ed aste di legno pendenti dall’alto; dovevano stare attento alle frequenti rotture delle cinghie che trascinavano verso l’alto pezzi vari ricadenti randomicamente a terra a volte sulla testa dei distratti; era poi necessaria una manutenzione costante e costosa dovuta:

  • alla lubrificazione continua degli organi in movimento con particolare cura ai cuscinetti degli alberi di trasmissione;
  • alla frequente sostituzione delle cinghie di cuoio che mal sopportavano il carico a cui erano sottoposte e che, quindi, si rompevano spesso;
  • al frequente rifacimento dei cuscinetti di banco (bronzine)degli alberi di trasmissione, che, costretti a lavorare costantemente premuti verso il basso, tendevano ad ovalizzarsi piuttosto rapidamente;
  • alla continua applicazione sulle cinghie di prodotto antisdrucciolevole, normalmente sego, di derivazione animale, dall’odore non particolarmente piacevole soprattutto d’estate.

All’inizio della sua attività, la RFA contava su 890 macchine utensili acquistate per la maggior parte all’estero da ditte specializzate depositarie di brevetti di noti inventori come Loëwe, Mann, Greenwood, Höller, Withworth, Howe, Robbins, Laurence, Wilkinson, Clement, Robert’s, BRUNEL, Maudslay, ecc. Per ogni industria che si rispetti, la scelta delle macchine utensili è stata sempre di capitale importanza; gli inglesi usavano propagandare le macchine in base al costo del lavoro; infatti per una pialla dicevano: levigare a mano una superficie di ghisa costa 12 scellini per piede q., con questa pialla costa meno di un penny. Vi erano inoltre quindici magli idraulici a tavola, otto presse pneumatiche, quattro forni per trattamenti termici e preriscaldo, un numero imprecisato di cesoie, piegatrici, segatrici per metalli per la lavorazione a freddo della lamiera, due forni fusori con calcatoi e forme per la fonderia, svariate molatrici multiple e pulitrici, attrezzature e impianti per trattamenti protettivi superficiali quali brunitura, cromatura, verniciatura, nonché impianti per la lisciviatura del legname, per la saldatura, ed infine una sala metrologica per il collaudo delle materie prime mediante sistemi Brinnell, Vickers, Rockwell, Sharp ecc. Macchine ed attrezzature costituivano quanto di meglio potevasi trovare a quel tempo sul mercato per la costruzione delle armi; tutte le macchine, attrezzature ed impianti, furono trasportati e piazzati da un gruppo di esperti operai inglesi ai quali furono affiancati altrettanto validi tecnici Italiani. Le Maestranze furono reclutate in gran parte dalle fabbriche d’armi di Torino, Brescia e Torre Annunziata; un certo numero di operai giunse a Terni anche dalla vecchia fabbrica metallurgica calabrese della Morgana soppressa come stabilimento militare fin dal 1864. Le retribuzioni delle maestranze furono piuttosto elevate rispetto alle altre industrie del territorio, tanto che a quel tempo c’era il detto: quilli dell’acciaijria co’ la berretta e quilli della Reggia co’ la bommetta. Come abbiamo già visto, la produzione iniziò nel gennaio 1884 con la produzione di 25 fucili l’ora del modello Vetterli 1870 cal. 10,35 mono colpo. Il sistema di lavorazione adottato fu misto, vale a dire che diverse parti del fucile, esclusivamente quelle di secondaria importanza, oltre che essere prodotte nello stabilimento ternano, venivano anche commissionate all’industria privata, per essere poi assemblate in fabbrica; tale sistema rendeva possibile avere un’abbondanza di parti tali da soddisfare il bisogno della fabbrica e di costituire scorte di ricambi per i vari gradi logistici. Il Colonnello Cesare Zanolini, ingegnere e deputato, fu chiamato a dirigere il neonato stabilimento all’inizio delle sue attività; la sua opera fu volta principalmente ad amalgamare le maestranze provenienti da parti d’Italia così lontane e profondamente diverse per usi, costumi ed abitudini ed anche lingua; infatti la gran parte di quelle persone erano analfabete e parlavano solo il dialetto, quindi si comprende bene come trovassero difficoltà a capirsi torinesi, lombardi, ternani, calabresi e campani. Zanolini riuscì nell’impresa in tempi brevi tanto che gli fu possibile rimpatriare gli operai inglesi prima del previsto. Nel 1890 il Col Galliani successe a Zanolini in un momento in cui si stava ultimando la trasformazione dei Vetterli mono colpo mod. 1870 in mod. 1887 a quattro colpi e si stava studiando il nuovo armamento. La RFA prese attivamente parte allo studio del nuovo fucile; meritano di essere citati i prototipi realizzati dal vice direttore Magg. Gaspare Freddi e quello del Cap. Fusi del cui progetto, molti elementi si trovano nella configurazione del nuovo fucile, il famoso modello 1891. E proprio nel 1891, il Col Galliani fu sostituito dal collega Claudio Cherubini il quale si adoperò fattivamente affinché la RFA fosse designata come principale stabilimento costruttore del nuovo fucile; in breve tempo la fabbrica ternana fu attrezzata per la produzione della nuova arma; in un primo momento gli strumenti di verifica e controllo vennero forniti dal Laboratorio di Precisione di Torino, poi vennero allestiti a Terni ed inviati a Torino per il controllo finché non fu raggiunta la piena autonomia. Nel 1894, il Parlamento del Regno d’Italia, per questioni di economia e sicurezza affrontò l’opportunità di ridurre il numero delle fabbriche d’armi; come sappiamo queste erano quattro: Torino, Brescia, Torre Annunziata e Terni; il Ministero della Guerra nel Novembre del 1894 ordinò la chiusura delle prime tre sia per la loro esposizione ad eventuali colpi di mano di potenze limitrofe, sia per il fatto che erano equipaggiate con macchinario obsoleto che avrebbe comportato una produzione ridotta e più costosa rispetto alla RFA di Terni. Tutto il lavoro di produzione del nuovo fucile sarebbe quindi dovuto essere concentrato a Terni, ma ci si rese presto conto che per allestire il numero di fucili necessari nel tempo previsto, si sarebbe dovuto raddoppiare la potenzialità della RFA il che avrebbe creato non pochi problemi soprattutto di carattere sociale, non essendo Terni preparata ad accogliere in breve tempo una notevole massa di maestranze con le proprie famiglie. La dismissione delle tre fabbriche d’armi fu quindi rimandata affinché esse potessero contribuire ad accelerare la fabbricazione del nuovo fucile con il loro apporto anche se più costoso. La produzione del fucile mod. 1891 iniziò nel 1892; nel 1896, il Col. Cherubini fu sostituito dal collega Sarcinelli che continuò l’opera meritoria del predecessore fino al 1900 quando fu sostituito dal Col. Vitali; era questi un Ufficiale che oltre ad avere una elevatissima competenza specifica nel campo della progettazione di armi portatili,possedeva una resistenza fisica veramente fuori dal comune ed una acuta perspicacia. Il Col. Vitali era un uomo di polso, fermo nei propositi, geniale nella risoluzione di problemi tecnici,instancabile lavoratore ed animatore dello stabilimento. Aggiornatissimo sui progressi fatti nelle tecniche costruttive delle armi portatili e nell’organizzazione del lavoro, orientò la fabbrica verso le nuove tecniche di lavorazione; fece sostituire il macchinario più vecchio, aggiornare gli impianti di trattamento termico e protezione superficiale,installare nuovi compressori per l’aria compressa, ammodernare tutti gli altri impianti,laboratori e magazzini ed infine, fece allacciare tutti gli organi vitali della fabbrica con una rete di binari Decauville. Purtroppo la permanenza del Col. Vitali fu breve e la sua opera ottimamente avviata e ben eseguita non fu completata; dopo di lui diressero la fabbrica il Col. Piola Caselli ed il Col. Da Barberino che non sono ricordati per aver fatto cose straordinarie. La fabbrica continuò a produrre fucili mod. 1891 a pieno ritmo fino al 1908 quando la produzione di fucili andò progressivamente riducendosi essendo stato quasi raggiunto il numero pianificato e le lavorazioni furono dirottate verso nuovi ed importanti compiti ricevuti dal Ministero della Guerra, tra cui la costruzione di 150 esemplari della mitragliatrice Perino modello 1908, la prima arma automatica di progettazione completamente Italiana; gli Ufficiali, i Capi Tecnici ed i Capi Operai della RFA furono incaricati di controllare i cicli di lavoro, le fasi di costruzione e l’installazione dei pezzi da 149 Armstrong affidata alla locale acciaieria, nonché l’allestimento,in tutte le sue fasi dei cannoni da 75/27 sistema Deport. La RFA fu dotata poi della necessaria attrezzatura per la produzione di proiettili da 75, 149 e 210, nonché per costruire zappette e vanghette per la Fanteria. Tutto questo richiese un notevole sforzo di adattamento estrinsecatosi nella modifica di alcune officine e magazzini per fare posto ai materiali necessari alle nuove lavorazioni. Nel 1912, sotto la guida del Col. Valentini, fu operata una radicale trasformazione; molto macchinario e molti impianti vennero aggiornati e/o sostituiti con roba nuova e moderna, ma l’evento più importante, fu la sostituzione dell’energia idraulica con l’energia elettrica. La RFA disponeva già dell’illuminazione elettrica dal 1909 e, per l’uso industriale provvide ancora una volta il Comune di Terni, che costruì una centrale elettrica con tre alternatori da 300 kw ciascuno e relative dinamo eccitatrici; alternatori e dinamo erano ad asse verticale azionati da nuove turbine tipo Francis a reazione con autoregolatore. Motori elettrici di adeguata potenza installati su incastellature metalliche trasmettevano il moto agli alberi primari; ma, a parte un moto più uniforme e regolare che conferiva maggior precisione nelle lavorazioni e consentiva anche qualche variazione di velocità, i problemi relativi alle cinghie,alle aste ed alla difficoltà di movimento, rimasero gli stessi. Dopo solo sette mesi il Col. Valentini fu sostituito dal collega Gardini; valente Ufficiale, questi impostò un’opera di abbellimento e potenziamento sicché la RFA si trovò preparata ad affrontare la guerra di Libia. Oltre all’ammodernamento della Fabbrica al Col. Gardini va il merito, importantissimo, di aver curato il rendimento dei dipendenti elevandone il livello morale ed intellettuale, educandoli all’amore per la Patria e migliorandone le condizioni di lavoro e la retribuzione. Nel 1912 furono installati due gruppi Oerlikon per saldatura autogena; nel 1913 la forza motrice fu aumentata, prelevando, dopo opportuna trasformazione del voltaggio,energia elettrica dalla rete dell’Azienda Elettrica Municipale fornita a prezzo di favore. Nel 1914 le fucine a fuoco centrale alimentate a carbone furono sostituite con altrettante ad olio pesante più efficienti e meno costose. Come già visto, man mano che diminuiva la produzione di fucili,oltre alle lavorazioni di cui sopra, la RFA fu incaricata di allestire parti d’arma sciolte da versare alle Direzioni di Artiglieria come ricambi per le riparazioni. Il Col. Gardini affrontò e risolse anche un altro spinoso problema: le fabbriche d’armi governative erano costrette ad acquistare le materie prime per le lavorazioni all’estero, soprattutto gli sbozzati per le canne, le culatte, gli otturatori e i trafilati per le scatole serbatoio; egli, in previsione che la Nazione potesse essere coinvolta in un impegnativo conflitto, fece di tutto per coinvolgere l’industria nazionale a produrre quei manufatti che permettessero di sostenere lo sforzo bellico senza dover dipendere da terzi magari in campo avverso. Così le Ferriere Piemontesi, le Fonderie Genovesi, l’Acciaieria di Terni, ecc. furono chiamate a produrre le barre per canne, i profilati per le altre parti d’arma,il filo armonico per le molle, la ditta Filut di Torino fornì i forni, tutte le lime e gli utensili comuni. Tutto si rivelò estremamente fruttuoso allorché la previsione di una guerra di breve durata, per la quale si riteneva che le nostre FF.AA. disponessero di armi e scorte sufficienti, soprattutto riguardo alle munizioni, si dimostrò superata dalla realtà della situazione militare in relazione agli eventi politici che lasciavano intravedere un fabbisogno di armi e munizioni molto maggiore delle scorte esistenti. Si comprese allora quanto fossero stati lungimiranti i Col. Valentini e Gardini nell’orientare lo Stabilimento verso una produzione massima, unificando i criteri di lavorazione e sfruttando al massimo possibile la collaborazione con l’industria privata. La RFA che, come abbiamo detto produceva 25 fucili /ora, fu messa in grado, aumentando la velocità del macchinario ed ottimizzando i cicli di lavoro di produrre 35 fucili /ora; dal 1908, la produzione dei fucili era scesa, come sappiamo , fino a 200 fucili /mese, pari a circa 7 al giorno, meno di uno all’ora, mentre venivano eseguite altre lavorazioni, come mitragliatrici Perino, proiettili per artiglierie, fucili automatici, piccole serie di fucili brevettati da privati (Cei Rigotti, Genovesi), pistole da segnalazione, alzi per artiglierie, graduatori di spolette, otturatori per mitragliatrici Vickers e Maxim, settori di brandeggio completi di sfere per cupole corazzate,attrezzi ecc.

All’inizio del 1915 il personale nei vari laboratori era così ripartito:

  1. nel 1° laboratorio vi lavoravano 150 operai che allestivano giornalmente 20 pistole da segnalazione, 200 granate da 75 mm, le sfere e le punte ad elica occorrenti a tutto lo stabilimento; il personale era alle dipendenze del Capo Tecnico straordinario Bacillari, Capo Operaio Vestri;
  2. nel 2° laboratorio lavoravano 300 operai che allestivano giornalmente, 300 ciascuna delle seguenti parti d’arma che servivano sia all’allestimento dei fucili, sia per il rifornimento di ricambi ai Corpi logistici territoriali: otturatore; scatola serbatoio; congegno di scatto; fornimenti;

Capi Operai: Castellani, Beltrame, Faretti, Pisani; dal 2° laboratorio dipendeva una piccola officina a esso adiacente nella quale erano allestite le viti, i perni ed i tubicini. Capo Tecnico Moretti, e successivamente, dal Novembre 1915, Patrone;

  1. nel 3° laboratorio, 300 operai allestivano giornalmente 250 canne complete di alzo e mirino e 250 culatte per i fucili di serie, di precisione e da premio; Capi Operai Meilleur, Mattoni e Baldoni; anche questo laboratorio aveva due piccole dependences adiacenti dove vi si allestiva l’alzo completo in una e nell’altra venivano brunite le canne complete di culatta alzo e mirino, le scatole serbatoi e le lame delle baionette; Capi Tecnici Salerno e Lucchi;
  2. Nel 4° laboratorio vi lavoravano 100 operai che producevano 200 casse e 300 copricanna al giorno; vi era inoltre il personale addetto alla manutenzione della fabbrica per tutto quanto avesse riguardato lavori in legno. Capo Operaio Fusari e poi La Gatta; da tale laboratorio dipendeva un altro locale sito alla periferia dello stabilimento, dove veniva effettuata la lisciviatura e l’essiccazione delle aste per le casse dei fucili e dei regoli per i copricanna; Capo Tecnico Galbordi Giovan Battista;
  3. nel 5° laboratorio lavoravano 160 operai; qui avveniva la fucinatura di tutte le parti d’arma con il 15% in più delle richieste dei vari laboratori; da esso dipendeva la fonderia in ghisa ed in bronzo; Capi Operai Frisanti e poi Cervelli;
  4. nel 6° laboratorio c’erano 80 operai che producevano 250 baionette/giorno complete di fodero e tutte le molle a spirale; vi venivano inoltre effettuati tutti i trattamenti termici previsti per le varie parti del fucile nonché la pulitura mediante rotella di tutte le parti d’arma; Capo Tecnico Moschini.

I Servizi Generali erano ubicati in un piccolo laboratorio adiacente al 5° ed ospitava il personale adibito alle riparazioni e manutenzioni necessarie all’attività della fabbrica. Dai SG dipendeva inoltre la centrale idroelettrica ed il laboratorio per la produzione dei gas industriali (H ed O). Gli operai erano 30, Capo Operaio Catini, Capo Tecnico Mirabelli e poi Scoppi. Infine il Laboratorio di Controllo e Collaudo dove operavano 10 operai specializzati addetti al controllo dei manufatti unitamente ad altri 20 operai addetti all’allestimento degli strumenti verificatori; Capi Operai Barbetta e Giovanetti, Capo Tecnico Sante. Il Capo Sezione era il Magg. Saccani che aveva la direzione del 1°, 3° e 4° laboratorio, mentre il Magg. Zocchi dirigeva il 2°, 5° e 6° più i SG. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale, la RFA fu chiamata a fronteggiare la fame di armi richiesta dall’immane tragedia che si era scatenata; l’impulso dato alla fabbrica per soddisfare le esigenze della guerra fu veramente straordinario, mai più ripetuto in seguito, neanche in occasione del secondo conflitto mondiale. Per incrementare la produzione di armi. La fabbrica fu ampliata, il numero degli Ufficiali salì da 4 a 30, quello delle maestranze civili fu portato da 964 fino ad un massimo di 7320; l’area coperta da officine e laboratori passò da 16462 mq a 24880 mq, i magazzini coperti da 7325 mq a 11640 mq e quelli a cielo aperto da 700 mq a 2700 mq; i capi operai salirono a 35 unità ed i capi tecnici a 22; la produzione passò da 200 fucili/giorno a 2500 fucili/giorno nel Marzo del 1918. Ai laboratori già esistenti si aggiunsero:

  • il 2° bis nel quale furono trasferite le lavorazioni dei perni, dei tubicini, e delle leve di scatto che in precedenza venivano allestite nel 2° lab.; in più, sempre nel 2° bis, fu installato un reparto per la riparazione, modifica ed allestimento di macchinari; Capi Operai Secco, Campili, Mammini, Castellani; Capo Tecnico Patrone;
  • Il 3° bis nel quale furono installate le foratrici per le canne e le macchine per la tubatura delle canne logore; Capo Operaio Meilleur, Capo Tecnico Salerno;
  • Il 3° ter nel quale fu trasferita la lavorazione della culatta; Capo Operaio Venti, Capo Tecnico Lucchi.

Presso la Scuola Professionale Arti e Mestieri furono impiantati tre laboratori per la fucinatura di parti di macchine in allestimento presso la RFA e per la fabbricazione dell’estrattore del fucile ’91 alla cui lavorazione provvedevano gli allievi di detta Scuola in quadrati da alcuni operai della Règia sotto la guida del Capo Operaio Lenzuola e del Capo tecnico Patrone. Fu ampliato l’Ufficio Disegnatori e costituiti otto nuovi Uffici: approvvigionamento materiali; contratti in amministrazione; collaudo parti d’arma provenienti dell’IP; collaudo materie prime (due uffici); nuovi laboratori (tre uffici).

Furono installati:

  • otto forni girevoli per tempre e cementazione;
  • 618 nuove macchine utensili;
  • apparecchi vari per saldatura ossiacetilenica;
  • un impianto di attrezzature per tempra;
  • tre forni ad olio pesante di cui uno al cloruro di bario e potassico ed uno al cloruro di sodio e potassico;
  • un ulteriore impianto di fornetti ad olio pesante;
  • un impianto di grandi vasche per la distribuzione dell’acqua;
  • fu potenziato l’impianto per la lisciviazione delle aste;
  • raddoppiato l’impianto per la produzione dei gas aziendali;
  • quattro nuovi forni girevoli per la ricottura delle parti d’arma;
  • svariate nuove forge ad olio pesante;
  • un impianto per piccola conceria;
  • un impianto di brunitura elettrica.

Fu inoltre posto in essere ogni sforzo ed accorgimento nella praticità e funzionalità come, ad esempio:

  • sostituzione dell’acciaio al carbonio con l’acciaio rapido per allestire utensili a maggior velocità di taglio;
  • sostituzione del litantrace con la lignite nei forni girevoli;
  • compressione dell’ossigeno per la saldatura autogena;
  • sostituzione dell’olio di oliva con olio pesante per la tempra;
  • utilizzazione dei trucioli e della segatura residuati della lavorazione del legno per il riscaldamento delle caldaie per la lisciviazione ed essiccazione;
  • i reparti di foratura canna e culatta che utilizzavano una quantità rilevante di liquido refrigerante erano stati dotati di grandi cisterne poste sotto al pavimento dalle quali le pompe delle macchine potevano aspirare direttamente il liquido studiato e brevettato dalla RFA stessa costituito da una miscela di acqua saponata ed olio di oliva che aveva il compito di refrigerare, pulire e lubrificare; una volta utilizzato per il suo scopo,dopo opportuna feltratura, il liquido riaffluiva nella cisterna;
  • lo stesso sistema di cisterne interrate fu adottato per l’olio combustibile che alimentava i forni e le forge del reparto stampaggio;
  • erano stati realizzati anche impianti di aspirazione canalizzati nei reparti di pulitura alla rotella, di affilatura utensili e di lavorazione del legno;
  • squadre di attrezzisti (op. Specializzati) provvedevano alla manutenzione del complesso.

L’organizzazione del lavoro era la seguente, una volta acquisito il reparto esecutore, l’iniziativa veniva lasciata al Capo Reparto, che con l’ausilio del suo staff e sulla base dei disegni tecnici provvedeva a:

  • stabilire il tipo di grezzo da cui partire che poteva essere fucinato, laminato, stampato, trafilato,coniato ecc.;
  • definire il ciclo di lavoro scegliere le macchine utensili da impiegare per ogni fase;
  • definire gli utensili sia commerciali che speciali da allestire direttamente dal reparto utensileria della fabbrica;
  • definire i controlli di lavorazione e quelli finali;
  • studiare e realizzare i fermapezzi da applicare alle macchine per il serraggio dei manufatti e delle varie maschere per le eventuali rifiniture manuali;
  • disporre di una campionatura e verificare che le operazioni previste dal ciclo di lavoro rispondessero al meglio delle esigenze dicotomiche di accuratezza e di rapidità di esecuzione ed eventualmente apportare i necessari correttivi per il raggiungimento dell’optimum.

I reparti di utensileria e meccanica di precisione provvedevano all’allestimento degli utensili speciali e dei verificatori di collaudo finale, mentre per le verifiche lavorazione durante, gli strumenti verificatori venivano allestiti dagli stessi reparti che producevano i manufatti, così come le attrezzature specifiche per lavorazioni particolari. Detto così sembrerebbe facile, ma se si riflette un attimo e si considera che per costruire un fucile ’91 occorreva allestire 65 pezzi più o meno complicati che richiedevano:

  • circa 500 operazioni alla macchina utensile;
  • circa 1000 strumenti di controllo delle fasi di lavorazione;
  • circa 200 strumenti verificatori di controllo finale;
  • circa 300 maschere e fermapezzi per il serraggio e le rifiniture manuali;
  • squadre di operai specializzati che provvedevano all’allestimento delle attrezzature, delle parti di ricambio ed ai rifornimenti, alla manutenzione delle macchine utensili e degli impianti intervenendo rapidamente ad effettuare le necessarie riparazioni onde mantenere lo standard produttivo;
  • personale incaricato di assicurare l’approvvigionamento delle materie prime ed egli utensili commerciali;
  • Tecnici, amministrativi, disegnatori, impiegati vari ecc. nonché una dirigenza militare con funzioni di coordinamento interno ed esterno e di prendere le decisioni strategiche, occorre convenire che non è né poco, né facile.

Ebbene, la RFA aveva maestranze di indubbia capacità, professionali e di valore; dirigenti, amministrativi, tecnici con eccellenti doti organizzative, accorti, lungimiranti che si dimostrarono perfettamente all’altezza del loro compito facendo sì che lo stabilimento fosse messo in grado di affrontare efficacemente qualsiasi evento e superare qualsiasi emergenza con calma, serietà ed intelligenza senza trauma alcuno. Durante l’immane carnaio della 1° GM, la RFA produsse:

  • 2.063.750 fucili modello 1891 calibro 6,5;
  • 1.600.000 sciabole baionetta per detti fucili;
  • 470.000 baionette e pugnali da ardito, ottenuti tagliando in due le lunghe lame delle baionette dei vecchi fucili Vetterli;
  • 200.000 sciabole baionette speciali (ersatz);
  • 25.000 canne per mitragliatrici varie;
  • 25.000 zappette;
  • 25.000 piccozzini;
  • 80.000 vanghette;
  • 4.000 gravinetti per Alpini;
  • 20.000 piccozzini da fanteria;
  • 500.000 proiettili da 75 mm.

Conflitto durante, come avvenne precedentemente nelle guerre per la conquista dei territori africani, la RFA di terni inviò nelle immediate retrovie del fronte numerose “squadre a contatto” formate da Capi Tecnici, Capi Operai e operai specializzati, che, opportunamente militarizzati ebbero il compito di organizzare dei posti riparazione a ridosso dei combattimenti, dove venivano eseguite le riparazioni più semplici e che non richiedevano attrezzature pesanti, e delle vere e proprie officine nei centri logistici di Udine, Gemona, Belluno e Verona per le riparazioni più radicali. Personale della RFA era inoltre dislocato presso le IP d’armi che concorrevano allo sforzo bellico della Nazione con il compito duplice di aiutare ad aumentare la produzione e assicurare il controllo di qualità delle armi fornite alle FF.AA. Italiane. L’esito favorevole del conflitto fu motivo di particolare soddisfazione per tutto il personale della RFA che con il proprio lavoro, incessante, intelligente, organizzato e di grande qualità aveva contribuito efficacemente all’alimentazione della battaglia e al conseguimento della agognata vittoria. Durante la guerra, presso la RFA furono ammessi, come operai, mutilati e invalidi provenienti dal fronte, non più impiegabili in combattimento, ma ancora validi per supportare il lavoro di produzione di materiale bellico con le loro capacità residue. In riconoscimento delle benemerenze acquisite da detto personale, il Governo Italiano emanò un provvedimento che rendeva permanente la posizione di costoro come operai della RFA. Infine va notato con compiacimento, che, vista la scarsità di maschietti che venivano inviati a farsi massacrare, furono assunte fino a 3000 donne come maestranze alle quali furono affidati tutti i tipi di incarichi, dal magazziniere al conduttore di macchina utensile, dall’elettricista al fabbro e così via e tutte si dimostrarono perfettamente all’altezza del compito loro affidato. Chiudo con qualche dato di economia: è da rilevare come l’adozione di un’arma prodotta principalmente da fabbriche governative, garantì indipendenza dal mercato internazionale delle armi che, verso la fine del XIX° secolo stava conoscendo uno sviluppo frenetico con prezzi sempre più alti e svolse inoltre un’azione calmieratrice del mercato delle armi costringendo le fabbriche private d’armi a praticare prezzi in linea con i costi delle fabbriche del governo che erano più contenuti non essendoci scopi di lucro sul prodotto. Una volta tanto, riferendosi a scelte governative, il detto chi fa da sé fa per tre si rivelò una scelta giusta perché favorì l’occupazione,contribuì a mantenere viva una forte tradizione armiera e contenne i costi. Per la cronaca il prezzo pagato nel 1918 per un fucile ’91 completo di baionetta cinghia in cuoio ed accessori per la pulizia era di 23,24 lire. A guerra ultimata, a conti fatti, la RFA spese per l’approvvigionamento di materie prime 87.000.000 di lire, spediva giornalmente 73 tonnellate di materiali con una punta massima di 221 nel Marzo del 1918.

OGGI

Nel suo lungo cammino lo stabilimento ternano ha conosciuto periodi difficili come quando, nei due dopoguerra, governi imbelli e scriteriati avrebbero voluto chiuderla; il superamento di questi ostacoli è costato sacrificio, abnegazione e, purtroppo, anche qualche vittima. Oggi ci risiamo, la situazione corrente della ex Règia fabbrica d’Armi di Terni, nel prosieguo solo Règia, è un po’ inquietante; l’età media delle maestranze è di 56 anni, l’ultimo corso allievi operai è del 1985, quando entrarono 16 operai; il personale va in quiescenza per limiti di età e non viene sostituito; si perde know how, come si dice oggi, cioè conoscenza, e questo è gravissimo! Di questo passo, in pochissimi anni, l’opificio chiuderà per inedia! Lo stabilimento Ternano, unico nel suo genere dell’area industriale della difesa, tratta materiale di armamento per le FF.AA. e i Corpi Armati dello Stato; in realtà, questo materiale è un sottoprodotto di quello che è il vero prodotto di questo Stabilimento, un prodotto strategico, di importanza vitale per il Popolo Italiano, un prodotto per il quale è semplicemente insensato, irresponsabile ed oserei dire da traditori il solo pensare di poterlo affidare in toto all’industria privata, o, peggio ancora, ad industrie straniere; questo prodotto è la sicurezza della Patria! Signori, la Patria e la Libertà non sono cose negoziabili, si ottengono con grandi sacrifici e occorre difenderle sino al supremo sacrificio! Dal 1946 a oggi ci sono state nel mondo oltre 689 guerre tra grandi e piccole che hanno causato più di 35 milioni di morti; attualmente sono in essere 31 conflitti in molti dei quali la nostra Nazione è direttamente coinvolta; l’ex Unione Sovietica si sta sgretolando sotto la spinta indipendentistica delle sue ex repubbliche e migliaia di ordigni nucleari sono ormai fuori controllo, il Medio Oriente e l’Africa Settentrionale sono esplosi dissestando l’equilibrio finanziario globale ed ipotecando seriamente gli approvvigionamenti energetici che per noi sono criticissimi, in Afghanistan non si scorge la fine della guerriglia talebana che richiede l’impiego di sempre maggiori risorse, la portaerei Lincoln ha superato lo stretto di Hormutz e veleggia nel Golfo Persico in attesa di supportare l’attacco che gli USA sferreranno tra breve all’Iran dando inizio alla terza guerra mondiale; ma veramente c’è qualcuno che ancora s’illude che l’uomo, inteso come specie, possa vivere in pace? I periodi di pace sono in realtà periodi di non guerra durante i quali l’uomo si prepara a fare la prossima, che, come i terremoti, arrivano quando meno aspettati. Perciò non bisogna mai abbassare la guardia, lo strumento militare deve essere calibrato in base ai compiti affidati ed alle risorse disponibili tenendo molto ben presente che: l’Esercito non è una società a responsabilità limitata, da ricostruire, rimodellare, liquidare, recuperare in settimana a seconda delle situazioni finanziarie del Paese; non è neppure un oggetto inanimato, come una casa, da demolire, ampliare, ristrutturare a seconda dei capricci del locatario o del proprietario; è invece una cosa viva, se maltrattato si adombra, se infelice si avvilisce, se attaccato con frequenza diventa febbrile, se rimpicciolito oltre un certo limite si inaridisce fin quasi a perire e quando le sue condizioni diventano estremamente gravi, può essere rimesso in piedi solo impiegando molto tempo e molto denaro (Winston Churchill). In questo contesto si colloca l’odierno Polo di Mantenimento delle Armi Leggere (PMAL), che, inquadrato nell’area tecnico-logistica del Ministero della Difesa con compiti esecutivi,trae la sua ragion d’essere proprio dall’esigenza di mantenere in efficienza il parco armi leggere delle FF.AA. e dei Corpi Armati dello Stato. Alle attività di ricostruzione e ripristino della vita tecnica e di approvvigionamento di nuovi sistemi d’arma e materiali connessi, si affiancano importantissimi lavori di modifica e di aggiornamento di armi in servizio eseguiti su progetto proprio e di allestimenti, sempre su progetto proprio, di manufatti ex novo che , non essendoci scopi di lucro, costano sensibilmente meno di quanto costerebbero se affidati all’industria privata. È evidente quindi che la Règia (mi piace chiamarla così, PMAL è una dizione fredda e scostante che non le appartiene e non la caratterizza) costituisce una notevole ricchezza per lo Stato e la logica vorrebbe che chi è preposto alla sicurezza della Nazione ne avesse cura attenta e scrupolosa e che prendesse ogni misura ritenuta necessaria per salvaguardarne l’esistenza, l’integrità e l’operatività. Indubbiamente la logica perversa del profitto privato a scapito del pubblico, forsennatamente e pervicacemente portata avanti dalla politica dal dopoguerra a oggi, ha visto come caratteristica estremamente negativa la mancanza di lucro sul prodotto, per il semplicissimo fatto che dove non c’è lucro, non può esserci mazzetta, bustarella, tangente e simili. Conseguentemente, gli Stabilimenti Militari, costati enormi sacrifici al Popolo Italiano, sono stati trascurati, relegati ad una sorta di enti assistenziali con la tendenza a farli morire d’inedia, non affiancando i giovani alle maestranze prossime alla pensione, non organizzando più corsi di aggiornamento professionale, né corsi per allievi operai ormai da decenni. Nel campo della politica degli armamenti poi, si è seguito un percorso suicida impedendo alle industrie nazionali di vendere i propri prodotti alle nazioni impegnate in conflitti; è la stessa cosa che impedire di vendere medicine ai malati, chi ne ha bisogno farà di tutto per procurarsele. Il risultato è stato che industrie come la OTO Melara, la SNIA BPD, la LMI, la Franchi, la Bernardelli, a corto di commesse per le FF.AA. nazionali ed impossibilitate a vendere all’estero, hanno chiuso o si sono ridimensionate riducendo attività ed organico. Il vento del rinnovamento del famigerato 1968 non ha risparmiato la Règia che, come qualsiasi altro ente pubblico ha iniziato il suo declino perché tale rinnovamento altro non è stato che una perdita di autorità da parte dei dirigenti, che ha lasciato ampi spazi al lassismo, al permissivismo, e, in definitiva, all’indisciplina che si sono tradotti in uno scadimento in quantità ed in qualità del lavoro. Esistono ancora capi operai, operai, tecnici che si presentano al lavoro ancor prima che vengano aperti i portoni, animati dalla voglia di fare, di creare, in goliardica gara fra loro, in serenità, nel rispetto dei ruoli, nell’educazione e nel rispetto reciproco, come in una grande famiglia. Ma il loro numero diminuisce sempre di più, sia per questioni anagrafiche, l’età media dei dipendenti è di 56 anni, sia a causa dei venti di tempesta che si addensano sulle pensioni che spingono a lasciare il lavoro quanto prima; comunque, malgrado il clima non sia proprio idilliaco, queste persone continuano a lavorare onestamente e con grande dedizione profondendo ogni energia per mantenere alto il nome della fabbrica. 137 anni di storia hanno lasciato il segno, il segno di una grande tradizione armiera, vanto della Nazione e della città che la ospita, un gioiello che si sta opacizzando a causa dell’incapacità e del disinteresse di una classe politica incredibilmente cinica, distratta, supponente, irresponsabile ed in malafede che non si rende conto di quello che sta perdendo (o se ne rende conto benissimo ma persegue scopi traditori della Patria. Qualcuno dà la colpa ai militari accusandoli di avere una mentalità improduttiva; ma, chiunque abbia un cervello che non serva solo a dividere le orecchie, o non conosce la storia della fabbrica, o è in malafede, o non ricorda che la produzione di fucili, in tempi critici raggiunse la ragguardevole cifra di 2500/giorno, che fu il Col. Gardini a convincere l’industria nazionale ad attrezzarsi per fornire gli sbozzati per le canne altrimenti acquistati all’estero, che è un brevetto della Règia il liquido refrigerante per gli utensili da taglio, che il Col. Freddi progettò numerosi fucili ed una mitragliatrice rivoluzionaria, che il Col. Vitali studiò la modifica dei fucili Vetterli mono colpo trasformandoli a ripetizione, che il Col. Boragine progettò il fucile mod. 1941, e che dobbiamo all’ex Ten Col. Girlando la modifica della MG 42/59 in calibro 5,56, delle pistole mitragliatrici Franchi LF 57 e la realizzazione delle ralle (affusti girevoli per armi di bordo) per i veicoli ruotati dell’Esercito. Il guaio, per così dire, dei militari non è la mentalità improduttiva, è la mentalità di gente che non è chiamata a decidere, ma a obbedire, gente estranea agli ambigui giochi della politica e che non ha né la possibilità, né gli strumenti per opporsi a certi tipi di scelte scialacquatrici di risorse preziose. La Règia ha una enorme capacità produttiva, che può anche essere diversificata, vale a dire che può lavorare non necessariamente solo sulle armi, ma bensì anche in campi ad esse connessi, cioè ovunque sia richiesta meccanica di precisione, meccanica varia, carpenteria metallica, allestimenti di utensili particolari, di strumenti verificatori,trattamenti di galvanostegia, ecc., lo ha già fatto in passato e, a maggior ragione, può farlo oggi.Inoltre si potrebbero creare un centro Nazionale di balistica forense ed uno di restauro di armi antiche artistiche e rare i cui servizi potrebbero essere offerti agli enti dello Stato al puro prezzo di costo.Anche tra il 1919 e il 1921, per mancanza di commesse, l’attività dello Stabilimento diminuì al limite della paralisi che fu superata con il ripristino di parti d’arma e con vari studi e trasformazioni che permisero la piena ripresa dello Stabilimento. Con una cura di riorganizzazione manageriale moderna, lo stabilimento potrebbe assumere fino a 1000 persone e generare altrettanto indotto qualificato. Basterebbe poco, una spazzolatina e il gioiello tornerebbe a brillare, è solo una questione di volontà, realizzabile attraverso una seria attività di moralizzazione, di riqualificazione del personale, di ristrutturazione aziendale, di adeguamento della gestione a criteri di manageriali moderni e di potenziamento degli impianti e del parco macchine, quest’ultimo già di ottimo livello. La soluzione sta pertanto nel rendere operativi i correttivi finalizzati ad aumentare razionalmente la produttività attraverso un’incisiva azione di recupero di valori morali e di una seria riorganizzazione del lavoro, non prescindendo, anzi esaltando, quelle componenti dell’io umano che sono la speranza di ricompensa per un lavoro ben fatto ed il timore di punizione per un lavoro sbagliato o danni causati da negligenza o distrazione. Da quando, demagogicamente, si è smesso di punire e di premiare, è venuta meno, a tutti i livelli gerarchici, l’autorità di chi è preposto a svolgere funzioni decisionali e/o organizzative, ma, cionondimeno, è restata la responsabilità e questo non è giusto e non giova a nessuno. Da sempre nelle attività di gruppo esistono le funzioni di coordinamento, comando e controllo, tenendo ben presente che coordina chi comanda e comanda chi controlla, ed il controllo si estrinseca attraverso un semplicissimo ma quanto mai efficace schemino cibernetico che consiste nell’apportare i correttivi necessari durante la produzione, correttivi che possono essere di natura tecnica e/o morale come, in quest’ultimo caso appunto, premi e punizioni. Nessuna attività può prescindere da questa verità, pena la sua inesorabile decadenza. Se è il vile denaro a occupare il primo posto nella scala dei valori della classe politica deputata alla guida della Nazione, non potrà mai esserci crescita, né morale né economica, ma solo logoramento dei costumi, destoricizzazione e detradizionalizzazione. Non resta che sperare che arrivi finalmente non un nuovo governo, ma un governo nuovo i cui membri mettano definitivamente da parte gli interessi e le ambizioni personali e che lavorino considerando appagante l’orgoglio e la fierezza che verrebbe loro dalla gratitudine del Popolo Italiano per aver essi agito onestamente e lealmente per conseguire gli interessi della Nazione. Con le chiacchiere non si va da nessuna parte, anzi si va a ramengo, occorre essere fattisti!  I dipendenti della Règia vogliono imparare di più, vogliono sentirsi importanti ed essere rispettati per ciò che producono che è in definitiva un bene prezioso ed irrinunciabile, lo ripeto, la sicurezza della Patria. Così scriveva il Grande Eroe Nazionale, e illustre cittadino Ternano, Gen C. A. Conte, Cavaliere, Dottore, Elia Giovanni Rossi Passavanti: “nel mondo esistono due categorie di uomini, i giusti che si credono peccatori ed i peccatori che si credono giusti; nei peccatori la malattia principale è la curiosità irresistibile ed irrequieta delle cose che non possono sapere e per reazione, le distruggono”. Ecco, non vorremmo ritrovarci di nuovo a che fare con questi peccatori; si prenda finalmente coscienza che finché ci sarà un Esercito, ancorché ridotto al lumicino, questo avrà bisogno di una fabbrica d’armi e che questa non potrà essere altra che la Règia di Terni perché è una fabbrica governativa sulla quale si può fare completo affidamento, che può garantire meglio di qualsiasi altra il perseguimento degli scopi e degli obiettivi. Ma per farlo deve ricominciare a produrre armi intere, non tanto per fare la produzione numerica, quanto per mantenere il know how necessario a esercitare la funzione calmieratrice del mercato, cioè di poter dire ai fornitori di armi e materiali connessi, questo me lo fornisci con questa qualità e a questo prezzo altrimenti me lo produco in casa. E così non vedremo più dei semplici mortai pagati un miliardo l’uno delle vecchie e care lirette, né uno spegni fiamma del costo di qualche decina di euro, pagato ben 2.000 euro). Nel 1921, il Ten Col. Foà, direttore interinale della Règia riuscì a convincere le autorità che le armi costruite nello stabilimento ternano, oltre ad essere qualitativamente migliori, costavano molto meno di quelle fornite dall’IP e che soltanto un opificio militare il cui personale è soggetto alla disciplina militare era in grado di garantire continuità anche in tempi critici. Corsi e ricorsi di vichiana memoria. Speriamo che anche questa volta ci sia un Ten. Col. Foà che sappia risollevare le sorti di questa prestigiosa fabbrica che combatte stoicamente contro il virus, tutto italiano, dello sfascismo economico culturale e morale. Ternani di oggi, la Fabbrica d’Armi è una risorsa importante per la nazione e per la nostra città, che ne trae vanto e benessere; prendete, anzi prendiamo, esempio dai nostri padri e dai nostri nonni, quando, nel 1946 e nel 1921 rispettivamente, scesero in piazza per salvare la loro fabbrica dalla chiusura. Guardatevi in giro, guardate com’è ridotta la nostra città; abbiamo perso industrie importanti, la Bosco, la Basell, la SIT, non esistono più, la AST sarà presto ceduta ad altra impresa che si terrà una minima parte del personale oggi impiegato, inoltre abbiamo già perso la filiale della Banca d’Italia ed anche la ASL verrà trasferita a Foligno, questa città sta morendo, vive sui soldi dei pensionati, che per cause anagrafiche assottigliano il loro numero; non facciamoci scippare anche la Fabbrica d’Armi, è una realtà industriale che, se adeguatamente sfruttata, è in grado di sostenere almeno 1000 famiglie ed aprire prospettive per un indotto numeroso e qualificato che, a sua volta, significherebbe posti di lavoro e benessere.

Il saggio è tratto, e integrato, da: Aldebrano Micheli, ”La regia Fabbrica D’Armi di Terni e le sue armi”, Terni, 2011.

 

 

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