La catalisi enzimatica

Nel 1818 il chimico francese L. J. Thénard aveva scoperto l’eau oxygèné e aveva approfondito i processi della sua decomposizione per mezzo dell’impiego di vari elementi, dal platino alla fibrina. questi fenomeni lo avevano indotto a metterli in rapporto con i processi di secrezione nelle piante e negli animali. Thénard scrisse: “Sarebbe irragionevole pensare che sia per una forza analoga che abbiano luogo tutte le secrezioni animali e vegetali? Non lo credo. Si comprenderebbe così come un organo, senza nulla assorbire, senza nulla cedere, possa agire costantemente su un liquido e trasformarlo in nuovi prodotti”.
Una ventina di anni dopo, nel 1834, il ragionamento viene ripreso da Berzelius: “la faccia interna dei vasi degli organi di secrezione sono ricoperti con sostanze che provocano la trasformazione dei fluidi che vi scorrono“, ad un anno dalla stesura del suo rapporto sullo stato delle scienze chimiche, nel quale veniva cniato il termine catalisi.
Nel 1929, R. Willstätter, premio Nobel nel 1915, scriveva: “La vita non è altro che l’ordinata cooperazione di processi enzimatici“, affermando la estrema importanza della catalisi enzimatica per la comprensione del fenomeno della vita, eppure sostenendo sulla struttura degli enzimi una teoria ancora del tutto divergente da quella che noi ora concepiamo, legata alla costituzione delle proteine.
Nel 1936, l’anno della pubblicazione in Germania dello Jahres-Bericht di Berzelius , Theodor Schwann (1810-1882) portò un contributo fondamentale con la dimostrazione dell’esistenza nel succo gastrico di un principio digestivo che chiamò pepsina. Schwann verificò che modeste quantità di pepsina potevano agire su grandi quantità di albumina, giungendo alla conclusione che l’azione del nuovo principio doveva essere catalitica o di contatto.
Ancora, Wöhler e lo stesso Liebig, nel 1837, definirono l’esistenza dell’emulsina nelle mandorle amare, Claude Bernard ottenne la lipasi dal pancreas (1849), Berthelot l’invertasi dal lievito (1856), Kühne la tripsina ancora dal pancreas (1877).
Il termine enzima fu proposto dallo stesso Willy Kühne nel 1878, in riferimento ai fermenti non organizzati come l’invertasi, trovati all’interno della cellula del lievito, la polemica circa la definizione del nome era stata lunga e controversa ed aveva opposto Liebig e Pasteur. Lo scienziato francese nel 1860 aveva affermato che “il processo chimico della fermentazione è essenzialmente un fenomeno correlativo di un atto vitale“, e che tutti i suoi risultati gli sembravano “in completa opposizione ai punti di vista di Liebig e di Berzelius”. Sorse una polemica che contrappose i “fermenti organizzati” di Pasteur ai fermenti chiamati “non organizzati” o “solubili“, ovvero le sostanze attive già isolate, che mantenevano un buon grado di attività nelle loro soluzioni acquose. La discussione si protrasse oltre la morte dei contendenti, fino alle ricerche di Eduard Buchner (1860-1917), che fornirono nel 1897 la base di una nuova disciplina, l’enzimologia.
Fin dall’ultimo decennio dell’ottocento Eduard Buchner aveva lavorato, presso l’Istituto di Baeyer a Monaco, sullo studio delle fermentazioni. Il fratello maggiore Hans, successivamente divenuto ordinario di igiene in quella città, era un batteriologo e cercava conferma alla sua teoria che tossine e antitossine avessero origine nel protoplasma batterico, percorrendo questa via chiese l’aiuto del fratello chimico per isolare le proteine del protoplasma cellulare, per studiarne l’intervento nei processi immunitari. La ricerca non ebbe nemmeno inizio in quanto Eduard non ottenne l’autorizzazione dalla Bayer, per la quale lavorava. Nel 1896 Hans Buchner, ormai divenuto professore, riprese le ricerche nel suo istituto con Hahn, un assistente, affrontando, tanto per cominciare, la difficoltà della conservazione del succo di lievito, in vero con un sistema semplicissimo, impiegando lo zucchero come antifermentativo. Con l’aiuto del fratello Eduard gli esperimenti proseguirono e i due si accorsero che con l’aggiunta di glucosio, nella misura del 40%, nel composto si sviluppava una vera corrente di bollicine. Dopo una lunga serie di esperienze di controllo i due si rivolsero nel 1897 alle rispettive comunità, i medici di Monaco e chimici tedeschi, l’articolo di Eduard Buchner apparve sui Berichte con il titolo “Fermentazione alcoolica senza cellule di lievito“.
La dialettica scientifica attorno enzimi intanto proseguiva, nel 1907 Fischer animò una polemica sulla natura proteica della saccarasi, in cui negava la specificità della parte proteica e affermava la separabilità chimica della parte dotata di proprietà catalitiche. Willstätter sostenne a lungo questo modello di enzima, basato su una componente colloidale, non specifica, che funzionava da supporto trasportatore, e su una componente catalitica, di dimensioni molecolari ridotte, come tutte le normali molecole organiche. La teoria era sostenuta dalla preparazione di soluzioni che mostravano ancora una particolare attività enzimatica, ma che non davano più le reazioni tipiche delle proteine. La fine di questa teoria biocolloidale giunse nel 1926 con la cristallizzazione da parte di J.B.Sumner (1887-1955) dell’ureasi, un enzima in grado di scomporre l’urea e ricavato dai legumi, segui la lenta accettazione della natura macromolecolare delle proteine, e la dimostrazione che le soluzioni di Willstätter non denunciavano la presenza di proteine per il semplice fatto che gli enzimi erano cataliticamente attivi a concentrazioni così basse da non poter essere rivelati con le normali reazioni di riconoscimento delle proteine.

 

 

Condividi: