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Massimo Bartolini recensisce “L’acqua motore dell’industria”

Seguendo la bellezza dei paesaggi lungo la Nera, non sfuggono all’autore, Sergio Dotto, i segni lasciati dall’uomo nel suo continuo tentativo di sfruttare la forza della natura per il proprio progresso, nella costante ricerca di un migliore e più diffuso benessere. Segni oggi divenuti monumenti della nostra identità, di individui, di cittadini moderni quali siamo o quali vorremmo diventare: oltretutto simboli di onesto lavoro e del più alto ingegno umano. Monumenti talmente integrati nel paesaggio ternano da esserne divenuti rappresentative testimonianze, l’essenza autentica di una civiltà che li eleva a beni culturali in cui Terni si riflette senza distorsioni di sorta! Come in una romantica ricostruzione del tempo l’Autore minuziosamente ricostruisce una storia che non potrà mai essere dimenticata, è la storia di Terni dell’ultimo secolo e mezzo, del suo indissolubile legame con l’elemento acqua di cui il suo territorio è ricco, è la storia d’Italia, la storia di tutti quanti noi. Dalla centrale di Collestatte, minata e distrutta dalle truppe tedesche in fuga, di cui oggi non rimane traccia se si escludono le varie opere di derivazione, alla centrale di Galleto, da sempre attribuita all’architetto Cesare Bazzani, ma sarebbe meglio precisare che «se a lui spetta il merito di aver concepito la forma esteriore del monumentale edificio, i disegni della struttura in cemento armato e i relativi calcoli, risalenti al 1927, e raccolti in numero cospicuo in una busta del fondo archivistico della Società Terni, portano la firma dell’ingegnere Giovanni Devoto che li realizzò a Genova» (pag. 86). Ed ancora: «si trattò di una simbiosi progettuale che ebbe effetto anche sull’edificazione poiché per primo fu realizzato lo scheletro in cemento armato, poi furono collocati i rivestimenti marmorei, quasi a celebrare la fine dell’epoca di cui la centrale idroelettrica è anche icona di ostentato progresso tecnologico, “intesa come un edificio rappresentativo e un formidabile strumento di comunicazione per l’immagine aziendale”» (pag. 86). E così viaggiando tra queste vicende: «le incursioni alleate non riuscirono mai a colpire la centrale di Galleto ma il 10 giugno l’esercito tedesco minò l’impianto che, grazie alla sua struttura portante in cemento armato, benché duramente provato, fornì prova di una resistenza notevole e non crollò …» capita d’incontrare anche personaggi quasi eroici, quasi del tutto dimenticati, come l’ingenier Flagiello «che senza colsultare i metallurgisti delle Acciaierie fece collocare una serie di corone di piccoli cunei di acciaio tra le lamiere della condotta e i suoi anelli di rinforzo, quindi affidò alla maestria degli operai il compito di ripristinare l’efficacia dei bendaggi con una lunga, paziente e oculata serie di colpi di martello. La coraggiosa soluzione permise la ripresa della produzione della centrale più importante d’Italia, a soli diciotto mesi dalla sua distruzione» (pag. 91). Scopriamo modi e tempi, ritroviamo fatti e date, volti famigliari ed altri meno noti, ma che hanno legato la propria esperienza esistenziale al destino di Terni in maniera indissolubile; ci torna alla memoria, per esempio, che il prossimo 2013 rappresenterà il 140° anniversario del progetto del celebre Canale Nerino: «la sistemazione definitiva delle opere di presa del canale Nerino si deve all’ingegner Bartolomeo Bartoli che, subentrato allo Sconocchia nel ruolo di ingegnere del consorsio, progettò il bellissimo ponte diga che fortunatamente, seppure trascurato e dimenticato, ancora oggi si staglia sul fiume quale imponente testimone della nascita della grande industria a Terni» (pag. 193). Pian, piano attraversiamo un pò tutto il territorio ternano e sembra quasi di rivedere, orgogliosa agli occhi della memoria, la centrale di Marmore il cui progetto «e di tutte le opere accessorie, porta la firma dell’ingegner Angelo Omodeo (1876-1941), figura di altissimo profilo[…]. La vita operativa dell’impianto fu breve, poiché nel 1929 l’avviamento di quello di Galleto ne comportò il declassamento al ruolo di riserva, che si protrasse fino alle ore 15 del 10 giugno 1944 quando fu minato e irrimediabilmente danneggiato dall’esercito tedesco» (pag. 50) e, purtroppo, di tanto in tanto, siamo costretti a riaprirli, gli occhi, non senza un sussulto al cuore: «la condotta forzata fu rimossa dalla sua galleria artificiale in pietra che tuttora, dimenticata e circondata dalla vegetazione, emoziona i rari visitatori del luogo che riescono a scoprirla. Oggi […] i resti di questo storico impianto sono spettatori d’improvvisate coltivazioni di ortaggi: le opere di presa presso il bacino di decantazione della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni, la galleria della condotta forzata, i sotterranei con le canalizzazioni per il raffreddamento, la tomba a sifone andrebbero preservate sia in quanto sono vestigia del settore idroelettrico di una grande Azienda sia perché rappresentano un monumento alle ferite inflitte dalla guerra all’apparato produttivo locale. Tali testimonianze di archeologia industriale, inserite a pochi passi dal grandioso spettacolo naturale della Cascata delle Marmore, una volta messe in sicurezza e consolidate, seguendo il modello inglese dell’industrial heritage, rispettoso in pari modo di natura e impianti, potrebbero costituire una meta significativa di un nuovo turismo orientato alla cultura» (pag. 51). Passando per le centrali di Cervara, del Sersimone, di Monte Argento e nel volgere di qualche pagina, accarezzati dal fruscio della carta tra le nostre dita, ecco Pentima, ecco stagliarsi le centrali di Stifone, per approdare, quindi, a Nera Montoro che «prima della costruzione della centrale di Galleto […] rappresentava nel comprensorio di Terni e Narni la massima espressione, sia per potenza installata, sia in fatto di monumentalità architettonica» (pag. 257). Ed ancora ci capita di trattenere a stento l’emozione insieme al nostro Autore: «l’impianto rimase con quest’assetto fino alla metà degli anni Ottanta ed era emozionante, viaggiando sulla linea ferroviaria Terni-Roma, poter vedere il monumentale edificio all’uscita di una galleria, quasi un ritorno agli inizi del Novecento, ammirando nello stesso tempo anche le gole del Nera con le sue caratteristiche acque colore azzurro intenso, dovuto alla presenza di Sali di sodio e di magnesio. Tra il 1985 e il 1995 l’ENEL, attuando un programma di ammodernamento dell’impianto, demolì la parte principale della struttura, in pietra murata, sostituendola con una nuova costruzione ispirata al minimalismo, conservando solo le porzioni laterali, in quella che Michele Giorgini ha definito una “discutibile ricetta di archeologia industriale”» (pag. 261). Il lavoro di Dotto è veramente ben fatto e ben riuscito, tanto che costituirà un tassello fondamentale nella ricerca storica in materia, anche per il grande numero di immagini d’epoca e materiale iconografico presente, mettendo in evidenza non solo la grande bravura dell’Autore, la meticolosità e la vocazione di profondo ricercatore, ma anche un’innata sensibilità dello stesso, verso una problematica cittadina assai viva, urgente, a volte quasi drammatica: la questione del recupero, della conservazione, della valorizzazione di un patrimonio di archeologia industriale di cui Terni è estremamente ricca. In molti passaggi, come abbiamo brevemente visto, si avverte vibrante la tristezza di chi, profondo e fine conoscitore che chiaramente descrive, anche in maniera estremamente tecnica, perfettamente lucida, la consapevole grandiosità di questo passato, di queste strutture, di questi meccanismi ingenieristici, idraulici, la tristezza appunto di chi purtroppo non può far a meno di considerare lo stato in cui tutto ciò oggi versa e noi, insieme con lui, non possiamo far altro che condividerne questo sentimento. Inevitabilmente la conservazione, la valorizzazione di questo patrimonio non può esimere dalla sua conoscenza quantomai scrupolosa ed approfondita come quella che Dotto ci restituisce. Inutile dire che lasciarlo all’incuria, perderlo, significherebbe per Terni perdere una grossa fetta di memoria, buttare all’ortica anche la grande possibilità di poter mettere in moto una ripresa economica basata anche su un nuovo tipo di turismo culturale, per dirla come l’Autore stesso, per non parlare poi del grande ruolo che la forte industrializzazione, che storicamente aveva connotato la città di Terni a rivendicare il ruolo di Manchester d’Italia, gli potrebbe valere oggi il ruolo, tutt’altro che da disprezzare, di capitale dell’archeologia industriale. Nulla è assolutamente perduto perché c’è ancora il tempo per poter intervenire, nulla è ancora perduto perché c’è anche un altissimo know how in materia a Terni di cui, il nostro Autore, è certamente un degno ed alto rappresentante. Qui, con queste parole, sicuramente, non si vuol fare assolutamente politica, non si vuol minimamente cavalcare l’onda di un diffuso malcostume che porta troppo spesso a sparlare acriticamente solo per il gusto di attaccare a testa bassa una determinata classe politica o la stessa politica tutta, qui si vuol semplicemente riportare quanto viene affermato da più parti ormai, con in testa i vertici dell’AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale), dell’ICSIM (Istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa) e non solo (Centro studi Malfatti, FAI di Terni, Legambiente, Italia Nostra, Istituto per le Ricerche Storiche sull’Umbria Meridionale, CAI ecc. ecc.) e con quanto traspare anche dalle pagine del libro di Dotto. La preoccupazione appare evidente come evidente è l’invito diretto a tutte le forze vive della società ternana ed in primis, ovviamente, quelle della politica cittadina e regionale sia di maggioranza che di opposizione a riflettere sulle enormi opportunità, sugli spiragli che un recupero di questo genere potrebbero aprire per una città che tanti sacrifici ha vissuto e scontato sulla propria pelle, sulla pelle dei propri figli, anche in nome dell’industrializzazione e del bene, della modernizzazione dell’intero paese e sistema Italia ! Riconoscere la forte vocazione di Terni come centro industriale, rimuovere dall’oblio che lentamente sta inghiottendo questo grande patrimonio come un’indelebile e tangibile testimonianza, significa non solo rafforzare la memoria, ma significa rafforzare il ruolo che Terni rivendica in Italia e in Europa di centro industriale moderno che vuol guardare verso il futuro anche grazie al recupero del proprio passato come atto di fierezza, di forte identità culturale, testimonianza concreta di un’esperienza duratura, perché un secolo ed oltre di storia dell’acciaio, della chimica e dell’industria più in generale, in Italia, è passato per Terni e non è volato via in un attimo così come non può esser cancellato, in un attimo, il ricordo; perché ha lasciato evidenti tracce nel paesaggio, nella memoria, cicatrici indelebili nei cuori dei ternani che non è giusto lasciar sanguinare ancora ! Ne vale poi anche un forte senso di orgoglio nazionale e non solo locale o stupidamente campanilistico, lasciatemi pur dire, ancora una volta ci dobbiamo specchiare con quello che la Germania è riuscita a fare nel recupero delle aree della ex Rhur che ad oggi riescono a richiamare tanti visitatori se non addirittura più della ben più nota, celebre e conosciuta area archeologica di Pompei. Per quanto tempo ancora, allora, ci dovremmo piegare all’evidenza dei fatti e rifuggire, timidi, qualsiasi confronto o paragone europeo ? Perché la Germania sì, l’Italia no ? Perché non Terni ? Possiamo in Italia ricondurre sempre tutto solo ed esclusivamente ad una questione di mancanza di denaro ? Non eravamo forse il popolo della fantasia, delle idee, dell’originalità ? Non siamo forse il pololo delle eccellenze quando abbiamo voglia di agire ? O questa voglia si è per sempre spenta nella malapolitica, nella corruzione, nel malcostume dilagante ? Non sarà, forse, colpa del profondo oblio culturale in cui questa nazione è caduta da tempo, da cui, comunque, sarebbe anche arrivato il momento di destarsi prontamente ? Per chi ritiene questi argomenti importanti, per chi ne vuol sapere di più, per chi vuol approfondire una grande fetta di storia cittadina e per chi vuole rivendicare la propria solidarietà non può perdersi questa importante occasione in scena mercoledì presso la biblioteca comunale.

Massimo Bartolini è laureato in Conservazione dei Beni Culturali, ha successivamente conseguito la laurea specialistica in Gestione e valorizzazione della documentazione scritta e multimediale. Attualmente è impiegato presso la Biblioteca Comunale di Terni in qualità di istruttore bibliotecario. Appassionato di poesia ha partecipato a diversi premi letterari ottenendo vari riconoscimenti, segnalazioni di merito ed inserito in varie antologie. Nel 2009 ha vinto la prima edizione del Premio letterario nazionale Città di Cattolica per quanto riguarda la poesia inedita in lingua italiana.

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