Il paraboloide della darsena: please don't conad me!
Il paraboloide della darsena: please don't conad me!

Darsena di Ravenna addio

In Italia tutto va al rovescio ed il nostro preziosissimo patrimonio storico, artistico ed architettonico viene distrutto anziché tutelato e valorizzato. Anni di lavori, studi, convegni, libri, proposte progettuali sostenibili dal punto di vista economico e della tutela redatte dai migliori esperti italiani, mobilitazioni, raccolte firme e persino un POC Darsena che ha saggiamente recepito le volontà dei cittadini: tutto inutile. Lascia basiti la dichiarazione del Soprintendente Cozzolino relativa al progetto di smantellamento del magazzino ex Sir apparsa sulla stampa oggi, in particolare sul Corriere di Romagna. Ogni sforzo per salvare e rilanciare la Darsena crolla davanti all’ennesima violenza alla memoria dei luoghi, del lavoro e della cultura architettonica italiana.
Nemmeno un vincolo di tutela basta a scongiurare quanto già deciso dai poteri politici ed economici chissà da quanto tempo a favore dell’ennesimo centro commerciale e relativo palazzone residenziale di quaranta metri. Uno dei più pregevoli edifici industriali a copertura parabolica dichiarato bene culturale della Nazione, capolavoro dell’ingegneria strutturale in cemento armato e della creatività italiana, viene smantellato.
L’assurdo di una Soprintendenza che evidentemente abdica al suo ruolo sta appunto nel fatto che di un bene tutelato, secondo gli accessi agli atti finora effettuati, resteranno solo (sempre che riescano a restare in piedi), i nudi esilissimi archetti di cemento. Del progetto presentato nel 2012 non una sola virgola è stata modificata, fatta salva la prevista rete di copertura da un milione e mezzo di euro, che si tramuta in pannelli di plastica. Ogni arco misura trenta metri di luce per diciotto metri di altezza per soli trenta (!) centimetri di spessore, giusto per darne un’idea. La perfetta “macchina strutturale” che aveva consentito al magazzino di giungere in buone condizioni fino ai giorni nostri viene totalmente distrutta. E’ questo un progetto compatibile con la salvaguardia e la tutela, come prescritto dalla legge per i beni storici? Qualsiasi cittadino sa che a casa sua non può spostare nemmeno una finestra: la legge è uguale per tutti? Distrutte le testate, distrutti i muri perimetrali, distrutte persino le quattro torrette di insacco, anch’esse in cemento armato, che contribuivano all’irrigidimento longitudinale della struttura, come anche un bambino può intendere. Il Soprintendente parla di “piccole demolizioni”: non dice invece che, da un calcolo che poteva facilmente effettuare, le demolizioni saranno pari al 99,9% dell’esistente. Migliaia di metri cubi di macerie da smaltire, e una strada passerà in mezzo a ciò che resta del più pregevole edificio della Ravenna industriale e della Darsena da riqualificare.

La darsena di Ravenna

La copertura viene sostituita con oltre seimila metri quadri di plastica trasparente grigia. Per chi ha in mente le dimensioni dell’edificio, c’è da restare sbigottiti che simili violenze, insostenibili dal punti di vista statico, energetico, di manutenzione nel tempo e del recupero delle risorse, possano essere accettate. Vedremo da altri accessi agli atti se ci stiamo sbagliando.
Cancellato per sempre un edificio che avrebbe attirato turisti, espositori e curiosi da tutto il mondo: uno spazio mozzafiato, una grandiosa e scenografica cattedrale laica dal lavoro capace, anche nelle attuali condizioni, di incantare i fotografi e gli artisti venuti appositamente a Ravenna in questi anni. A nulla sono valse le richieste, avanzate da tanti giovani, a favore della salvaguardia e della destinazione, almeno in parte, ad attività pubbliche, musei, sale della musica, scuole, spazi di aggregazione. Quello che avviene in Europa per i beni di archeologia industriale non può accadere a Ravenna. Resterà, se resterà, una sequela di archetti ricoperta di plastica e, per i cittadini, una piazza sul tetto del centro commerciale. Ravenna aggiunge una altra pagina allo sciatto destino di speculazione che da lungo tempo l’assedia senza via di scampo.

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